Questo post nasce da un articolo del mio amico Hell, intitolato “La Storia del Cesso“. Andatelo a leggere, ne vale la pena, né io né il blog scappiamo.
Posso dire di essere ancora una volta fortunata, nell’avere a che fare con la gente. Come non ho mai incontrato di persona uno di quelli che se volessero scriverebbero un bestseller pronto, se solo trovassero il tempo di scrivere; né ho mai visto in faccia uno di quelli che scrivono perché presi dal sacro fuoco dell’esorcizzare i loro demoni interiori in un mistico afflato poetico; ecco, come non ho avuto quelle sfortune, non ho manco dovuto mai sentirmi chiedere perché scrivo e/o sentire la Storia del Cesso di un altro scrittore.
Conosco persone che scrivono, ma scrivono perché vogliono raccontare storie.
Niente seghe mentali.
Storie. Il piacere di raccontarle. Di gettare l’altro nelle vite di personaggi inventati.
E che, come me, sperano di pagarci le bollette, o almeno una spesa al discount, con le loro storie.
Ché della sacralità dell’arte, non frega un tubo a nessuno che abbia il frigo deserto.
Poi forse sono io che sono asociale, e chiacchiero con davvero poca gente, e con quella con cui parlo non intrattengo discussioni sullo scrivere.
Ma poniamo che volessi raccontare la mia personale Storia del Cesso a qualcuno che insiste per saperla. Cosa gli direi?
Be’, probabilmente sarebbe la storia della mia prof delle medie, di cui al momento non ricordo nemmeno il nome, ma la faccia sì (lunghi capelli neri, onde scure, bellina senza essere da urlo, le avrei dato quarant’anni ma forse erano meno, chissà). E la mia prof, oltre a farci fare i temi “standard”, ci faceva scrivere storie, per casa e come compito in classe.
Una volta scrivere una favola.
Una volta scrivere una fiaba.
Una volta scrivere un racconto giallo.
Una volta scrivere pagine del diario di un italiano del medioevo.
Una volta scrivere un racconto dell’orrore.
Scrivere, scrivere, scrivere.
E raccontare storie.
Senza seghe mentali.
A guidarci, una vaga infarinatura delle regole del genere in cui stare di volta in volta, insegnateci alla lezione precedente.
E quindi, armati di quell’infarinatura, Scrivere. Una. Fottuta. Storia.
Punto.
E se mentre alcuni miei compagni si sarebbero volentieri fatti interrogare piuttosto che dover scrivere un altro tema in cui mettere insieme una storia di senso compiuto che fosse più lunga di una facciata di foglio a righe (ricordo gente che scriveva largo come una casa per occupare la facciata d’ordinanza, allargando le o e le a in delle salsicce), io davo libero sfogo alla mia logorrea. E sommergevo quella povera donna di pagine e pagine di bla bla bla.
Eccola, la mia storia del cesso: da ragazzina ho scoperto che sono logorroica, mi piacciono le storie e mi diverto a infliggerle alla gente.
I demoni, l’istanza espressiva, la mistica dell’ispirazione e tutte quelle altre fregnacce, no, non fanno per me, se non per ridere di me stessa quando fatico a scrivere.
Per fortuna casi del genere, per quanto rari, esistono. 🙂
Per fortuna sì! 🙂
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Ma in realtà la tua non è una Storia del Cesso, ci sono pochi dettagli, non c’è passione, non può essere spacciata come vera, nessuno ti crederà. XD
La Storia del Cesso deve essere inventata di sana pianta, ed è una storia con la quale ammorbare gli altri fingendoti figo.
Scherzi a parte, mi piace come argomento. La scrittura è un tema sensibile, che affligge molti di noi (sì, ho usato il verbo affliggere di proposito), perché non si sa mai con qualche aspirante scrittore avremo a che fare. Quelli della Storia sono i peggiori. ^^
Allora passerò i prossimi giorni a trovare nuovi, appassionanti dettagli con cui infarcire la mia storia, tipo un manipolo di ninja che fa irruzione a ascuola durante un tema in classe, o quella volta che Suor Maria sconfisse a braccio di ferra il fornitore degli alimentari, riuscendo così a ottenere uno sconto di favore sul prosciutto cotto e sulla crescenza u_u
Ecco, così sarebbe perfetta! XD
Grandissima la prof delle medie. Applausi.
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