Questo post nasce da un articolo del mio amico Hell, intitolato “La Storia del Cesso“. Andatelo a leggere, ne vale la pena, né io né il blog scappiamo.
Posso dire di essere ancora una volta fortunata, nell’avere a che fare con la gente. Come non ho mai incontrato di persona uno di quelli che se volessero scriverebbero un bestseller pronto, se solo trovassero il tempo di scrivere; né ho mai visto in faccia uno di quelli che scrivono perché presi dal sacro fuoco dell’esorcizzare i loro demoni interiori in un mistico afflato poetico; ecco, come non ho avuto quelle sfortune, non ho manco dovuto mai sentirmi chiedere perché scrivo e/o sentire la Storia del Cesso di un altro scrittore. Continua a leggere
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Pigrus è con me
Avrei varie cose da fare in questo periodo.
Per dirne una, vorrei scrivere una recensione decente e un filino articolata (ma senza sbrodolamenti e spoiler) di Butcher Bird, ma mi si aggroviglia sullo schermo e ancor di più su carta.
Per dirne un’altra, sto tentando di scrivere una cosa, ma ogni volta c’è qualcosa che non mi soddisfa e ci vogliono un paio di giorni prima di focalizzarla, e cominciare quindi ad avere il sentore che ce n’è un’altra che non va, in un ciclo continuo.
Per dirne una terza, è periodo di esami. E Pigrus è con me: ottimo =_=’
Per dirne una quarta, dovrei finire di mettere a posto i tag dei post. Ma non ho voglia. Pigrus è con me, ve l’ho detto.
Per dirne un’altra ancora, stasera si gioca a Pathfinder e non vedo l’ora di provare il nuovo personaggio: Besh, una gnoma summoner, e il suo eidolon Brutus. Chissà se a fine serata potrò esclamare “Total Waffle!”* e cercare una moto su cui saltare per andare in cerca di un locale che faccia waffle all’una di notte. A Novara. Ok, lasciamo stare la parte della moto.
Poi ci sarebbero da dire due parole su Galaxy Quest, che vale sempre la pena ma di cui mai ho parlato. Per non parlare poi di The Gamers e The Gamers 2 – Dorkness Rising (sì, con la o. Per gli english-impaired è un gioco di parole tra Darkness = oscurità e Dork = sfigato).
Ma, spiacente, Pigrus è con me. 🙂
*Per il concetto di”Waffle”: qui, la prima manciata di secondi. Per la scena della moto, qui, minuto 1.45.
Ah, i sottotitoli fanno pena, sappiatelo…
Paraculaggine
A settembre ho mandato una mail a un docente chiedendo l’invio di materiale necessario per sostenere l’esame. Il docente stesso mi aveva detto di fare così a ricevimento (una mattinata nel cesso per sentirsi dire: “Mi invii una mail”). Il materiale non è mai arrivato.
A metà gennaio ho mandato un’altra mail. Nessuna risposta.
Cinque giorni dopo ho mandato due nuove mail.
La prima con la casella di posta dell’università, quindi a mio nome. Una mail pacata, in cui scrivevo di aver già inviato una mail con altro indirizzo e che speravo di avere notizie a breve.
La seconda mail è partita dall’indirizzo fasullo di una studentessa altrettanto fasulla. Toni ancora più ossequiosi, sempre la storia della mail già inviata, con in più tutta la puccettosità del “è il mio ultimo esame!”, una dose enorme di leccaculaggine e, per conoscenza, l’indirizzo mail del capo del corso di laurea.
Miracolo: tre ore dopo il docente ha risposto a entrambe le mail (no, nessuna risposta per quella di cinque giorni prima). Stesse parole per me e la studentessa fittizia, stessa frasetta iniziale (In effetti non l'ho ricevuta). Stesso messaggio: “il materiale non l’ho mai finito, studia il resto del programma”.
Certo che dover far venire un mezzo coccolone a un docente solo per sentirsi dire questo… beh, sembra quasi fatica (e intimidazione indiretta) sprecata!
Corso fuffa?
All’università in cui sono adesso c’è un corso obbligatorio da fare nel triennio (e se sei del biennio ma il corso non l’hai fatto: debito, da recuperare). Non è un corso allucinante, anzi. Diciamocelo: è un corso un po’ fuffa, quello del “Laboratorio di scrittura italiana”. Così fuffa che lo puoi fare in autoformazione, senza mai presentarti da nessuna parte che non sia l’aula dell’esame. Così fuffa che vale 3 CFU e che manco ti danno il voto sul libretto, solo “Approvato”.
Qual è lo scopo di questo corso così fuffa?
Appurare che uno studente universitario abbia le conoscenze e abilità minime per scrivere in maniera comprensibile nella propria lingua madre. Uno scopo molto basilare e pratico: prima o poi arriverà il giorno in cui lo studente scriverà una tesi, quindi meglio controllare prima di tale giorno che sappia almeno mettere in sequenza le parole, e nel caso dargli qualche dritta basilare su come farlo. Giusto per evitare che il relatore uccida il tesista incapace di mettere soggetto e predicato in sequenza.
Niente stile, niente poetica, niente retorica.
Molto pratico e molto basilare.
Contenuto del manuale:
- Scrivere è un atto di comunicazione, quindi se scrivi vuoi dire qualcosa, e scrivi decentemente se il messaggio arriva; meglio scrivi e più chiaro è il messaggio.
- Nozioni base di linguistica (le variazioni del linguaggio, per intenderci).
- Nozioni base sulla punteggiatura (la virgola, questa sconosciuta, e tutti i suoi cugini dell’interpunzione).
- Nozioni base su come si scrive un testo logico (andare dal punto A al punto B per una ragione diversa da “perché sì”).
- Nozioni base su come si scrive un saggio breve in cinque paragrafi (introduzione, tre argomentazioni, conclusione).
Nulla di trascendentale, no?
Quel che pensavo io.
Vado a fare l’esame. Marea di gente. Almeno settanta persone (forse di più) in apprensione come se fosse Statistica 2 in una facoltà di agraria. Siamo a Lettere e Filosofia, eccheccazzo, un po’ di contegno.
Attendo l’inizio dell’esame e origlio conversazioni sull’orlo del panico. Gente che è lì a ritentare l’esame per la quinta, sesta volta.
Mi faccio prendere da un briciolo di agitazione anche io. Quinta o sesta volta suona da schifo, per essere un esame di italiano a Lettere, no?
Inizia l’esame.
Una dozzina di domande tra risposta aperta e chiusa più un breve componimento di due paragrafi, il tutto in un’ora.
Due settimane dopo apprendo di aver passato l’esame. Ho il mio “Approvato”, il mio debito è saldato e posso andare avanti con l’università. Ma in quanti saranno ancora lì a lottare per riuscire a mettere giù una cazzo di frase in italiano?
Cosa ci insegna questo esame fuffa?
- Che per passare un esame così non serve chissà che, solo studiare un minimo e sapere scrivere nella propria lingua madre.
- Che tanta gente non sa raggiungere uno standard minimo di decenza nella propria lingua madre scritta, ed è gente di Lettere e Filosofia: orrido. Non stiamo parlando di scrivere poemi, grandi disquisizioni teoriche di imponderabile profondità: stiamo parlando delle basi. I paragrafi da scrivere erano su argomenti del corso o banalità da uomo della strada (sì, c’era fin la scelta tra ben due argomenti!). Io non sono un luminare della scrittura né un genio, mi sono accorta solo ora di soffrire di avverbite, ma cazzo, l’ho passato al primo tentativo!
- Che un corso del cazzo come questo, anche solo seguito in autoformazione, forse dovrebbe essere obbligatorio per tanti (troppi!) autori (fantasy e non) e editor.
Esagero col punto 3? Non credo proprio.
Quali sono le cose più plateali su cui gli autori fantasy cadono?
Cadono sulla logica: che sia la logica interna della storia o quella della frase (particelle avversative alla cazzo di cane), il concetto non cambia. Da A si deve arrivare a B per una ragione diversa da “perché sì”. Siamo esseri senzienti, non marionette gestite dal Dio Caso.
Cadono su errori di punteggiatura che fanno rizzare i capelli, con virgole sparse a caso nella frase, magari anche tra soggetto e verbo, oppure con punteggiatura del tutto assente per paragrafi lunghi 20-30 righe. Fa schifo, è segno di sciatteria e di assenza di rilettura.
Cadono sul linguaggio. Le variazioni del linguaggionon sono astratte seghe mentali dei teorici, sono realtà che chiunque, con un minimo di spirito di osservazione e mente sveglia, nota nella vita. Nessuno parla sempre allo stesso modo in qualunque luogo/compagnia/occasione, né due persone diverse parlano esattamente nello stesso modo. Per questo un romanzo in cui tutti parlano con la stessa identica voce incolore fa cagare, così come uno in cui il porcaro del re parla come se fosse appena uscito da una lezione di dizione tenuta dal Tasso.
E infine, cadono sul più grande dei concetti. Scrivere è un atto di comunicazione. Le possibilità sono due: o ti frega sul serio di comunicare qualcosa, o non te ne frega ma stai scrivendo così per far andare le dita sulla tastiera. Se vuoi davvero comunicare qualcosa (posto che tu abbia qualcosa da dire!), vuoi che il messaggio arrivi il più chiaro possibile. Non vuoi che ci sia possibilità di fraintendimenti, dubbi o vuoti comunicativi. Scrivere bene è come fare una telefonata. Scrivere col culo è giocare al telefono senza fili con un gruppo di sordi: se hai un gran culo qualcosa alla fine arriva, ma non assomiglia per un cazzo a quel che è partito dal primo della fila. Cosa distingue telefonata e telefono senza fili? No, non il filo. La chiarezza. Parole chiare, precise, scelte apposta e non pescate a caso nel Mare del Testo, portano a una comunicazione efficace. Certo, uno deve però avere idea di cosa vuole dire…